Quel pasticciaccio istituzionale

In questo caso definirlo pasticcio è a dir poco un eufemismo, del resto, solo per rigoroso rispetto delle istituzioni coinvolte, meglio evitare un termine verosimilmente più pesante ma ragionevolmente più appropriato. Oramai da settimane i mass-media non parlano d’altro, ossia del conflitto di attribuzioni sollevato dal Capo dello Stato contro la Procura della Repubblica di Palermo, riguardo alle intercettazioni nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia. Intercettazioni che in qualche maniera hanno coinvolto il Presidente della Repubblica giacché intercettato - seppur indirettamente - durante una o più comunicazioni telefoniche intrattenute con l’ex Presidente del Senato, ex vicepresidente del Csm ed ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, oggi indagato per il reato di falsa testimonianza perché - secondo l’accusa - insediatosi al Viminale il primo luglio 1992 era a conoscenza della trattativa. Circostanza dallo stesso negata in sede di escussione testimoniale. Tuttavia, non è questo il punto su cui volevo porre l’attenzione, bensì sul fatto che due istituzioni come quelle appena citate siano giunte per così dire ai ferri corti su un argomento tanto serio quanto grave come quello che riguarda la suddetta trattativa - reale o presunta - tra Stato e mafia. Una sorta di guerra - nemmeno poi tanto fredda - che disorienta a prescindere il cittadino comune - cioè i più - specie in un momento critico come quello che si sta attraversando, ovverosia stretti tra le ganasce di quella morsa economica, finanziaria e d’incertezza più in generale che sta stritolando non solo la realtà quotidiana di ognuno, ma anche la mera speranza di un futuro migliore. Premesso ciò, se da un lato “Le incertezze di tipo sociale e psicologico che si addensano in particolari momenti del ciclo di vita dei singoli individui e delle stesse società provocano l’esigenza soggettiva di una rassicurazione che implica spesso un rapporto col potere problematico e squilibrato” (Segatori, 1999, p. 152), dall’altro c’è da chiedersi, oggi, a quale figura istituzionale bisogna fare appello per beare di tale rassicurazione. Si badi bene “La folla è un gregge che non può fare a meno di un padrone” (Le Bon, ed. 2011, p. 152); così come secondo Michels “il bisogno di essere guidati […] è illimitato nelle masse […]" (cit. in Segatori, 1999, p. 153); e che per questo motivo ogni giorno in più trascorso in talune torbide acque, equivale ad un motivo in più di preoccupazione per la solidità della democrazia.