L'invidia patologica

OnnipotenteL’invidia esiste come sentimento negativo sin dalla comparsa dell’uomo, la quale si manifestò per mano del demonio come ne sono ad esempio la tentazione attuata in Adamo ed Eva, in Caino nei confronti di Abele, in Esaù verso Giacobbe, oppure in Giuseppe che fu venduto come schiavo dai suoi fratelli, Davide che fu perseguitato da Saul e da ultimo, si fa per dire, Gesù che fu consegnato a Pilato dagli ebrei (cfr. Sap. 2, 23-24 “Origine del male e della morte”: [23] “Sì, Dio ha creato l'uomo per l'incorruttibilità, lo ha fatto immagine della propria natura”. [24] “Ma per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono”).


E dunque, al di là del significato cattolico-cristiano che ricomprende l’invidia tra i sette vizi capitali, è ragionevole poter definire la stessa come un sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità presente in altre persone che si vorrebbero per sé, assai spesso accompagnato da avversione e livore per chi invece possiede tale bene o qualità e che vede realizzarsi le proprie aspettative in ambito familiare, lavorativo e sociale più in generale.


Per Marx la passione dominante della società moderna è l’avidità mentre per Durkheim è l’ambizione non regolata. Viceversa, per Tocqueville è l’invidia (Martinelli, 2009). L’invidia in genere è un sentimento occulto e se la mimesi invidiosa è così importante nell’origine dei bisogni, non c’è da meravigliarsi se è poi così frequente nella vita di tutti i giorni. L’invidia è un sentimento meschino e penoso che deteriora i rapporti sociali. L’invidioso è infelice quando gli altri riescono dove lui fallisce. L’invidia è una delle forme in cui si manifesta l’aggressività, odio e livore (Alberoni, 2009).


L’identificazione come forma d’invidia. Tale sentimento, originato da impulsi sadici, ha un carattere sostanzialmente proiettivo. Secondo la psicoanalista Melaine Klein sono tre gli elementi che portano al manifestarsi dell’invidia. 1) il desiderio e il bisogno; 2) gli oggetti buoni desiderati che si trovano nell’altro; 3) l’altro che ha il potere su questi oggetti (Klein, 1957).


L’individuo invidioso reagisce tentando di disprezzare l’invidiato perché ai suoi occhi è colpevole di portare in evidenza ciò che l’invidioso non ha, è come se si sentisse annientato dall’esistenza dell’invidiato e, in qualche modo, danneggiato da questi.


A mio modo di vedere, dunque, l’invidioso una volta individuato e fatto capire lui di aver compreso il suo disagio, va ignorato, perché ogni nuovo contatto (de visu, telefonico, telematico) altro non fa che aumentare il livore verso chi l’invidioso stesso ritiene essere (anzi, spesso è) meglio di se.


Detto ciò, credo che si dovrebbe pensare a interventi di tipo divulgativo ad ampia azione del fenomeno al fine di porre in evidenza i rischi cui può portare il protrarsi di tali atteggiamenti, il più delle volte leciti sotto il profilo giuridico, ma evidentemente devianti sotto quello morale e quindi di interazione sociale nel suo insieme.


Dott. Marco LILLI