lunedì 30 gennaio 2017

Animali maltrattati

In materia di maltrattamento di animali, la Corte di Cassazione torna a rimarcare la sostanziale differenza tra l'utilizzo del collare “antiabbaio” e l'utilizzo del collare finalizzato ad attività di addestramento. Il caso in esame ha riguardato il proprietario di due cani da caccia ai quali applicava la seconda tipologia di strumento coercitivo per addestrarli all'esercizio venatorio, fattispecie, ha sostenuto la tesi difensiva, «prevista dalle leggi sulla caccia». Ebbene, ripercorrendo l'iter processuale, i giudici di legittimità scrivono: «con scariche elettriche i cani venivano richiamati al proprietario ed addestrati. I collari sono stati periziati, modello [...] con telecomando. Il livello di stimolazione può essere regolato dal telecomando (tensione e durata). Il perito conclude la sua analisi escludendo qualsiasi rischio per la salute del cane, “in quanto gli impulsi hanno durata molto limitata (ordine dei microsecondi) e quindi l'energia trasmessa è trascurabile, inoltre la corrente attraversa una zona limitata del corpo senza interessare gli organi vitali [...]. Possiamo quindi concludere che l'unico effetto fisiologico della scarica sia la sensazione, più o meno dolorosa, che la scarica può causare all'animale [...] massima distanza alla quale è possibile controllare i collari con il telecomando 800 metri” – perizia [...] su incarico del Giudice –. Il tipo di collare quindi non può ritenersi un collare antiabbaio, ma un collare per l'addestramento».


A questo punto, proseguendo nella lettura della sentenza, gli stessi giudici ricordano alcuni precedenti orientamenti giurisprudenziali: «L'abuso nell'uso del collare coercitivo di tipo elettrico “antiabbaio” integra il reato di maltrattamento di animali [...] atteso che ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non trovino adeguata giustificazione costituisce incrudelimento rilevante ai fini della configurabilità del citato delitto contro il sentimento per gli animali» [1]. Viceversa: «L'utilizzo di collare elettronico, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza», integra una condotta penalmente rilevante, ma diversa dalla precedente, per il solo fatto di detenete gli animali in condizioni non compatibili con la loro stessa natura [2].

La differenza tra le due fattispecie di reato è evidente – proseguono i giudici –, perché nel primo caso la norma «punisce chi con dolo, “con crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale o lo sottopone a sevizie o comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”»; mentre nel secondo caso, la norma punisce con una contravvenzione «chiunque “detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

In conclusione, nel caso specifico: «non può certamente riconoscersi una crudeltà o lesioni ai cani, ma solo sofferenze, per altro limitate solo ai momenti di uso dei collari [...] sofferenze comunque gravi, e incompatibili con la natura dei cani. Altri criteri e soluzioni di addestramento per i cani sono possibili, più naturali e consoni alla natura etologica dei cani» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, Sentenza n. 21932/2016; udienza e decisione dell’11 febbraio 2016).

Note

[1] Art. 544 ter Codice penale (Maltrattamento di animali).

Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro.

La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.

La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale.

[2] Art. 727 Codice penale (Abbandono di animali).

Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.