Sicurezza sul lavoro

Il caso ThyssenKrupp (Torino). La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha confermato la responsabilità per cosiddetta «colpa imponente» gli imputati per l’incendio verificatosi nello stabilimento ThyssenKrupp di Torino la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, cagionando il decesso di alcuni operai. Stabilendo inoltre che per la configurazione del reato previsto e punito dall'articolo 437 Codice penale, non è necessario che l’evento dannoso di fatto si verifichi [1].


Nella copiosa motivazione della sentenza, tra l’altro si osserva: «Peraltro a tali determinazioni sulla pena il giudice di appello era pervenuto dopo avere ponderato in termini di equivalenza il giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto, dando contezza, per ciascun imputato, delle ragioni per cui le circostanze pure positivamente direzionate, non erano in grado di prevalere sul patrimonio circostanziale di segno opposto. In particolare quest’ultimo veniva poggiato sulla ricorrenza una colpa imponente, tanto per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione delle condotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all'interno dell’opificio di Torino una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori, sia infine per la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spengimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento».

Inoltre, proseguono i giudici: «è nella cooperazione colposa il fulcro in cui si innestano le singole responsabilità individuali che, a vario titolo, sulla base delle differenziate posizioni di garanzia e in ragione della specificità della condotta omessa, hanno confluito nel dare attuazione alla strategia di temporeggiamento e di blocco di investimento in prevenzione, nella prospettiva dismissiva dell’impianto torinese».

Altresì: «Quanto al primo profilo il giudice di rinvio ha rappresentato come, alla stregua degli elementi acquisiti nel corso dell’intero giudizio, la colpa in capo al direttore dello stabilimento di Torino […] e al responsabile della prevenzione e della protezione sul lavoro […] si era manifestata ai massimi livelli ipotizzabili, avendo gli stessi avuto diretta percezione e consapevolezza sul campo, a fronte delle plurime segnalazioni ricevute dalle squadre antincendio, dalle problematiche connesse alle garanzie assicurative, alla mobilità dei lavoratori, alla condizione di degrado dello stabilimento, del progressivo peggioramento delle condizioni di sicurezza all'interno del luogo di lavoro e nondimeno avevano predisposto e avallato documenti per la valutazione del rischio, anche specifico di incendio, dal contenuto ampiamente riduttivo se non dissimulatorio e […] aveva redatto un piano di emergenza e di evacuazione nel quale venivano illegittimamente mescolati gli impegni della produzione e della sicurezza in una prospettiva autarchica e auto gestionale del rischio di incendio, mobilitando le squadre di emergenza soltanto in seconda battuta, investendo di responsabilità ai capiturno addetti alla produzione e praticamente limitando a ipotesi eccezionali l’intervento della pubblica assistenza (Vigili del Fuoco)».

Prosegue la sentenza: «In particolare in relazione alla sussistenza di relazione causale tra la passiva e adesiva accettazione delle strategie aziendali da parte dei due ricorrenti e l’evento incendiario […] considerava la condotta dei prevenuti, inserita nella rispettiva veste di direttore di stabilimento […] e […] di dirigente di fatto, coinvolto nelle problematiche della sicurezza soprattutto nella qualificata veste di responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, quali anelli causali che assecondano e rendono possibile la realizzazione del piano di incauta dismissione dello stabilimento» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza n. 52511/2016. Udienza del 13.05.2016. Deposito del 12 dicembre 2016).

[1] Note

Articolo 437 Codice penale. «Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni».